Articoli su Giovanni Papini

2023


Raoul Bruni

Alberto Savinio: un articolo inedito su Papini

Pubblicato in: La Rassegna della Letteratura italiana, anno 127, serie IX, n.1, pp.23-31
21-22(23-24-25-26-27-28-29-30
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Data: giugno 2023



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   L’articolo che pubblichiamo qui per la per la prima volta è conservato nell’Archivio Soffici, da qualche anno confluito presso l’Archivio di Stato di Firenze. Si tratta di un manoscritto di 9 cartelle firmato da Alberto Savinio che ha per titolo Giovanni Papini. il testo non reca nessuna data di composizione, ma risulta databile all’autunno del 1919. È possibile, infatti, ricavare un’indicazione cronologica precisa da una lettera che Savinio inviò a Ardengo Soffici il 2 ottobre di quell’anno: «Caro Soffici – Eccoti quattro articoli per la V. italie: Papini, Bontempelli, Recommencement et Les journaux de Milan. / Saluti a tua moglie. / Un forte abbraccio dal tuo Savinio» 1.
   Gli articoli menzionati nella lettera, tra cui quello su Papini, furono quindi scritti per «La Vraie italie», la rivista fiorentina diretta dallo stesso Papini, ed edita da Enrico Vallecchi, con l’intento di far conoscere al pubblico internazionale la vera immagine dell’italia all’indomani della prima guerra mondiale (di qui la scelta della lingua francese). Savinio iniziò a collaborare alla «Vraie italie» già a partire dal secondo numero, del marzo 1919 2. I suoi interventi uscirono in parte sotto la sua firma, in parte in forma anonima. La lettera del 2 ottobre è indirizzata a Soffici, perché questi, dal giugno del ’19 – dopo che Papini aveva accettato l’incarico di caporedattore della terza pagina del giornale romano «il Tempo» –, era diventato il principale redattore della «Vraie italie», e quindi anche il referente per l’invio delle proposte. Gli articoli Bontempelli, Recommencement e Les journaux de Milan escono tutti nell’ottavo fascicolo della «Vraie italie» (settembre, 1919) 3; l’articolo su


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Papini, invece, non fu mai pubblicato e rimase riposto nell’archivio personale di Soffici.
   Prima di soffermarci sui possibili motivi della mancata pubblicazione, ripercorriamo brevemente le relazioni tra Savinio e Papini. il rapporto tra i due si può documentare soprattutto attraverso il carteggio conservato alla Fondazione Primo Conti di Fiesole e pubblicato da Maurizio Calvesi nel suo famoso volume La metafisica schiarita (1982) 4. Savinio entra in contatto con Papini negli anni ferraresi, quando, terminata la sua prima esperienza parigina, sta cercando di farsi strada negli ambienti culturali italiani 5. Il carteggio comincia con la lettera del 12 gennaio 1916, nella quale Savinio chiede conto di un proprio saggio proposto, tramite Soffici, alla «Voce» e si congratula con Papini per «la consolazione domenicale che [gli] dà il suo [di Papini] articolo nel “Carlino”» 6. Già a partire dalla lettera successiva, inviata cinque giorni dopo, i toni diventano confidenziali. Savinio concede a Papini la facoltà di «sfrondare» gli articoli che propone alla «Voce», riconoscendo così nel proprio corrispondente una guida degna di fiducia: «Sono ringhioso e inflessibile, non però con coloro che amo e stimo. Sin d’ora Lo considero la mia buona guida in lingua italiana. Le dò facoltà di sfrondare i miei scritti; tanto più che quei periodi che Lei critica sono, anche a parer mio, i meno importanti» 7. Che tra Papini e Savinio si sia ormai instaurato un legame di sincera amicizia, lo conferma anche la lettera di Savinio a Soffici del 19 gennaio: «Anche Papini m’ha scritto, mi dice molte cose buone. Ti annunzio la mia nuova e ardente amicizia con Papini» 8.
   In questo periodo Papini diventa, di fatto, insieme a Soffici, l’autore italiano contemporaneo di riferimento per Savinio, anche sul piano della scrittura letteraria. Savinio inizia a approfondire la conoscenza dell’opera di Papini, cercando di procurarsi i suoi libri, o chiedendoli direttamente a lui: «Un conoscente […] m’ha prestato l’Uomo finito e le 100 pagine di poesia. – Tempo fa ti avevo chiesto qualche libro tuo. Non rispondesti né col libro né con un accenno. Male!» 9. Un altro libro di Papini che Savinio desiderava leggere è L’uomo Carducci (1918) 10. Paola Italia, sulla scorta di alcuni appunti lessicali conservati nel Fondo Savinio, ha mostrato come questi abbia compulsato con particolare attenzione questo saggio, che


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pure non era tanto nelle sue corde (e infatti non verrà citato nell’articolo su Papini) 11.
   Il tono del carteggio Savinio-Papini è piuttosto schietto. Non si avverte quell’alone di piaggeria che può rendere stucchevoli certi scambi epistolari tra scrittori. il che appare tanto più significativo, in quanto l’ammirazione reciproca era senz’altro autentica. Savinio esprimerà il suo debito di riconoscenza nei riguardi di Papini, dedicandogli un capitolo del suo esordio letterario Hermaphrodito (1918): La partenza dell’Argonauta, che Papini stesso gli aveva fatto anticipare su «il Tempo» il 1° aprile 1918 12. Da parte sua Papini, come si sa, dedicò a Hermaphrodito un articolo memorabile, pubblicato nel gennaio 1919, che segnò il vero inizio della fortuna letteraria di Savinio 13. È probabilmente da attribuire a Papini anche il breve ritratto di Savinio apparso anonimo nel fascicolo della «Vraie italie» dell’aprile 1919, in cui l’autore di Hermaphrodito è inserito «parmi les très rares artistes qui, non seulement sauvent lire dans les ombres du passé et ont la possibilité de voir toutes les clartés du present, mais possèdent en quelque sorte la faculté de prévoir les lumières de l’avenir, où se composent lentement les mondes qui viendront» 14.
   Nella «Vraie italie» Papini, Soffici e Savinio presentano sé stessi, insieme a altri scrittori e artisti (tra cui lo stesso de Chirico 15 ), come gli esponenti di una sorta di nuovo rinascimento italiano, che seguirebbe a un periodo di sostanziale decadenza. L’articolo inedito di Savinio inquadra la figura di Papini in questa prospettiva: «Étant déchue depuis longtemps de son rôle universel, notre littérature s’était abymée dans le provincialisme, voire dans le régionalisme. Le triumvirat Carducci-Pascoli-D’Annunzio ne sut rien entreprendre pour la faire sortir de cette position houleuse. L’esprit italien continuait à dormir: ignoré des étrangers, ignoré des italiens eux-mêmes. Telle était la situation, quand il se trouva un homme qui conçut le problème du re-soulèvement de l’esprit italien: et cet homme fut Giovanni Papini».
   La linea politico-culturale della «Vraie italie», specialmente dopo che Soffici prende la guida della rivista, assume toni più accesamente nazionalistici e anti-francesi. La note polemiche di Savinio, da un lato contro «l’esthétisme international», dall’altro contro le «formes pseudo-philosophiques» di certa cultura europea, e in


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particolare francese (paradigmatico il riferimento a Romain Rolland), rientrano in questo quadro ideologico. Così come l’immagine di Papini quale campione dell’italianità («italien de la meilleur souche, il savait opposer à temps à toutes les divagations étrangères»).
   La parte più interessante dell’articolo è la seconda, dove Savinio lascia da parte gli aspetti ideologici, per addentrarsi più direttamente nell’opera di Papini. Dopo aver ricordato la funzione pionieristica del «Leonardo» e i titoli dei «livres philosophiques» più significativi del primo Papini (Il crepuscolo dei filosofi, del 1906, L’altra metà, dell’11 e Sul pragmatismo, del ’13), Savinio fa un’osservazione molto acuta a proposito del nesso tra le ricerche filosofiche papiniane e le raccolte di racconti: «Papini sut, même dans le recueils de contes et de narrations, agiter les pensées philosophiques, introduire des problèmes psychologiques, analyser tous les recoins de l’âme humaine, touchant jusqu’à l’occultisme». Subito dopo è citata la raccolta narrativa d’esordio di Papini Il tragico quotidiano (1906), mai menzionata da Savinio nelle lettere: questa attestazione sembra confermare l’importanza che tale raccolta ha avuto per Savinio, così come per de Chirico 16. Un’altra opera che lasciò il segno nel percorso di Savinio è Un uomo finito (1913). Il «mezzo ritratto» del bambino corrucciato, senza fanciullezza, che apre il libro più famoso di Papini esercitò una certa suggestione sul Savinio di Tragedia dell’infanzia (1937). Ricollegabile alle prime pagine di Un uomo finito è anche, come notò Calvesi 17, il celebre autoritratto di Savinio bambino del 1927, realizzato sul modello di una vecchia fotografia. Nell’articolo Savinio ravvisa nell’autobiografia letteraria di Papini «un véritable éclat d’intelligence passionnée», e parla di un uomo (l’autore stesso) che, «par une crise de révolte», ritrova nuove e più autentiche forze.
   A partire da Un uomo finito Papini orienta la sua ricerca stilistica verso la poesia in prosa e in versi del trittico Cento pagine di poesia (1915), Opera prima (1917) e Giorni di festa (1918). Secondo Savinio, in quest’ultima pubblicazione «le lyrisme de Giovanni Papini arrive à une telle pureté, a un tel raffinement, a un telle consciente lucidité des aspects, a une telle profondeur, que la conceptions des valeurs matérielles et spirituelle s’y révèle comme à travers les facettes d’un diamant». Parole di ammirazione riguardo a Giorni di festa si leggono anche in una lettera a Papini del 22 dicembre 1918: «ieri, da Carrà, ho visto Giorni di festa. È il tuo libro ultimo, ma anche il più bello, il più puro, il più grande» 18; e nel carteggio con Soffici: «di certo è il migliore [libro] che [Papini] abbia pubblicato fino adesso. Un libro che segna un grande passo nella sua produzione e che rivela in lui qualità molto più belle di quelle che potevano apparire nei suoi molti libri precedenti» 19.


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   Come si è ricordato, Savinio aveva iniziato a apprezzare Papini come brillante collaboratore del «Resto del Carlino»; nell’articolo non può quindi mancare un riferimento al talento giornalistico di Papini, «polémiste, dans le sens le plus noble de mot». Savinio fa un’appassionata apologia anche dell’uomo Papini: non sarebbe vero, come sostengono i suoi detrattori, che abbia un carattere «amer et enfiellé», e le uniche persone che lo irritano davvero sarebbero «les arrivistes». Chi conosce i carteggi di Savinio potrà rinvenire qui, in controluce, un ricordo personale. Tra lui e Papini ci fu infatti una momentanea frizione quando, all’indomani dell’uscita di Hermaphrodito, Savinio si rivolse all’amico chiedendogli esplicitamente di scrivere una recensione del libro. Sulle prime Papini reagisce male, e invia a Savinio una «lettera-sfogo» di «4 pagine d’ingiurie più o meno mascherate» 20. Raccontando l’‘incidente’ a Soffici, Savinio confessa di essere rimasto particolarmente offeso dall’accusa (rivoltagli, evidentemente, da Papini) di «arrivismo», che respinge fermamente: «sono così poco arrivista che, sino a oggi, e benché abbia girato mezza Europa, non ho trovato ancora il modo di rendermi noto» 21. Paradossalmente questo equivoco, rapidamente chiarito, finì per rafforzare l’amicizia tra Savinio e Papini. Oltretutto, come abbiamo ricordato, Papini avrebbe effettivamente recensito Hermaphrodito.
   Savinio conclude l’articolo accennando al laborioso isolamento in cui Papini si era ritirato per scrivere una sua nuova opera. E infatti Papini in quel periodo si era autorecluso nella casa di Bulciano per comporre il libro che avrebbe sancito la sua conversione al cattolicesimo: la Storia di Cristo, iniziata nell’agosto del 1919 e pubblicata nel ’21. Savinio sigla quindi un ritratto di Papini nel momento più decisivo del suo percorso, quando si chiude la prima fase della sua storia, e se ne apre un’altra, per molti aspetti nuova.
   Perché l’articolo non uscì? Si può ipotizzare che la pubblicazione sia stata posticipata in quanto Papini era ancora ufficialmente il direttore della «Vraie italie», e quindi poteva essere sconveniente pubblicare un suo ritratto firmato da un sodale e assiduo collaboratore della rivista. Tanto che il 1° dicembre 1919 Savinio scrive a Papini (forse riferendosi proprio all’articolo scritto): «Quando non sarai più direttore della rivista [«La Vraie italie»] parlerò di te: mi preme di farlo, un po’ per delle ragioni di pulizia, e anche perché sei forse il solo nel quale io abbia ormai una vera fiducia» 22. L’esperienza della «Vraie italie», però, sarebbe prematuramente terminata di lì a pochi mesi: l’ultimo numero esce nel maggio 1920 (inoltre c’era già stata una lunga interruzione editoriale tra il fascicolo del novembre ’19 e quello dell’aprile del ’20). Nel frattempo i contatti tra Papini e Savinio si interrompono piuttosto bruscamente. da un lato la svolta cattolica allontana il futuro autore della Storia di Cristo da Savinio, dall’altro sul loro rapporto non può non pesare anche l’incrinarsi delle relazioni di Papini con l’altro fratello de Chirico. Nel febbraio del 1919 era uscita infatti sul «Tempo» la celebre stroncatura di Roberto Longhi Al dio ortopedico, che Papini aveva forse ispirato. Come ricorda de Chirico nelle Memorie della mia vita (1945), era stato infatti Papini a suggerirgli di rivolgersi al


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critico d’arte per ottenere un articolo sulla sua opera pittorica: «Giovanni Papini, che in quel tempo si trovava a Roma, mi consigliò di rivolgermi per un articolo a Roberto Longhi, dicendomi che egli era uno che “capiva più degli altri”. Papini si trovava a Roma per scrivere un romanzo metafisico; infatti si isolò per parecchio tempo. Gli amici commentavano la sua sparizione e dicevano che lavorava molto, ma il romanzo metafisico non vide mai la luce. Papini tornò tra le genti ma con la faccia stravolta e con un umore da cane idrofobo; si tuffò a capofitto nel cattolicesimo e quando per la strada vedeva da lontano me, o mio fratello Savinio, cambiava marciapiede per non doverci salutare» 23. Al di là del tono enfatico della rievocazione, il distacco di Papini dai fratelli de Chirico fu netto. Nella lettera del 20 marzo 1920 Savinio esordisce, infatti, lamentandosi dei silenzi dell’amico: «Sono anni e secoli che non ho tue notizie» 24. Dopo questa lettera il carteggio si interrompe in modo pressoché definitivo 25. Visti questi presupposti, risulta più chiaro perché per Savinio sarebbe stato difficile tornare, con un intervento pubblico, su un autore da cui si era così drasticamente allontanato.
   Il sodalizio tra Papini e Savinio durò quindi pochi anni, ma lasciò una traccia sensibile, in particolare nell’opera del più giovane, e segnò un momento significativo della cultura letteraria primonovecentesca. Se conoscevamo il punto di vista di Papini su Savinio, affidato alla celebre recensione di Hermaphrodito, mancava, a parte le note frammentarie sparse nei carteggi, un giudizio più argomentato di Savinio su Papini. il ritrovamento dell’articolo può colmare questa lacuna.


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ALBERTO SAVINIO

Giovanni Papini 26.

   Il est trop connu (qui est l’européen tant soit peu cultivé qui ne connaisse Giovanni Papini ?) pour qu’il nous soit nécessaire d’en tracer un portrait rigoureusement réaliste. Nous croyons utile par contre d’avancer quelques mots sur la figure morale de cet écrivain, poète, penseur, en essayant de placer sa personnalité intellectuelle dans l’histoire qui se déroule devant nous.

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   Sauf quelques rares exceptions, quelques cas isolés d’esprits parfois formidables, toute la période 800 fut une période sourde pour notre littérature et, en général, pour notre spiritualité ! Nous n’en cherchons pas ici le causes, qui sont multiples, non exclue, parmi les principales, la situation politique. L’influence de cette période obscure se prolongea jusqu’au commencement de la période 1900. L’importance, même locale, de notre littérature, était tombée bien bas. Étant déchue depuis longtemps de son rôle universel, notre littérature s’était abymée dans le provincialisme, voire dans le régionalisme. Le triumvirat Carducci-Pascoli-D’Annunzio ne sut rien entreprendre pour la faire sortir de cette position houleuse. L’esprit italien continuait à dormir: ignoré des étrangers, ignoré des italiens euxmêmes. Telle était la situation, quand il se trouva un homme qui conçut le problème du re-soulèvement de l’esprit italien: et cet homme fut Giovanni Papini.
   Il fut le premier qui qui conçut le problème sous un aspect radical et vif: il ne s’agissait point d’enrichir nos anthologies de quelques strophes bien tournées; il n’était plus question de calquer le style sur les notes romaines; de ressusciter par d’habiles images les grandeurs révolues; d’enjoliver la prose; de limer des phrases; de s’engouffrer dans le jardin-clos de l’esthétisme international. Non ! il n’était plus temps pour sacrifier à la Beauté artificielle; faire de la littérature morne et morte. Papini s’attacha à la cause profonde du problème; il visa à la raison première de l’art; il rechercha le suc véritable de la conception littéraire: il entreprit le re-soulèvement de la littérature parmi l’idée, l’esprit, la pensée. Et en effet, il débuta comme philosophe. Éclaircissons le mot: il ne fut pas un philosophe militant; il ne se perdit pas dans la recherche mécanique d’une doctrine; il ne pataugea pas dans le labyrinthes de la dialectique et ne s’attarda pas au jeu des causes et des effets. il se servit de la base philosophique ainsi que d’un fortifiant et d’une nourriture; pour la substance philosophique il rendit la vie aux formes inertes de l’art.
   Ayant fondé sa revue Leonardo, il devint l’émissaire, en italie, du mouvement


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philosophique mondial; et, par là, il continua à réveiller la pensée sommeillante en notre esprit. Mais il le fit avec une habilité rare – sans jamais se dénationaliser – opposé à ces formes pseudo-philosophiques telles que les conçoivent les Romain Rolland et simili, il n’introduisit pas le idéologies françaises, anglosaxonnes, allemandes, parmi nous, comme une pâture malsaine: il ne nous les livra que pour que nous nous en servions comme un exemple et comme stimulant. Vieux toscan, italien de la meilleur souche, il savait opposer à temps à toutes les divagations étrangères, le caractères fondamentaux de notre race, de notre esprit, de notre pensée. Présentée de la sorte, cette alimentation extra-italienne nous fut des plus profitables et salutaires. Nous pouvions enfin non rendre compte, par le jeu des comparaisons, de notre état spirituel, le rehausser, l’améliorer, le parfaire. Nous pouvions dire désormais de posséder une culture universelle: et cette connaissance éclairée, utile par bien de cotés à notre fécondation spirituelle, nous évitait en même temps de tomber dans les terribles embuches ouvertes à l’ignorance.
   La campagne pour la culture italienne et universelle fut longue et tenace: en dehors des publications de Leonardo, il fait paraître fou nombre de livres philosophiques: Crepuscolo dei filosofi, Altra metà, Pragmatismo. Mais, entre les livres mentionnés qui, dans le catalogue, portent au sous-titre livre de théorie, Papini sut, même dans le recueils de contes et de narrations, agiter les pensées philosophiques, introduire des problèmes psychologiques, analyser tous les recoins de l’âme humaine, touchant jusqu’à l’occultisme. Tels sont le Tragico quotidiano et autres œuvres de fiction, jusqu’à Un uomo finito qui, au forme de bouquin, est un véritable éclat d’intelligence passionnée et qui, contredisant à son titre (Un homme fini) nous présente un homme (ou, plus exactement, Papini lui-même), qui, par une crise de révolte, se trouve finalement maître et possesseur de forces nouvelles et purifiées. il entre aussi dans le règne splendide de la poésie. il arrive à la poésie par une évolution laborieuse: pourtant, il est sur de toucher à l’art véritable. Et c’est encore une évolution poétique qui marque les trois livres de poésie: Cento pagine di poesia (1915), Opera prima (1917) et Giorni di festa (1918); car dans cette dernière publication, le lyrisme de Giovanni Papini arrive à une telle pureté, a un tel raffinement, a un telle consciente lucidité des aspects, a une telle profondeur, que la conceptions des valeurs matérielles et spirituelle s’y révèle comme à travers les facettes d’un diamant.
   En même temps qu’il fouillait les profondeurs de la philosophie, ou qu’il se reposait dans les éclaircies du lyrisme pur, Papini fut autant polémiste, dans le sens le plus noble de mot. il polémisa toujours pour l’intelligence. il fut polémiste en politique et en art. En une foule d’articles parus dans les journaux, il marqua au front les imbéciles et signala à l’attention du monde les homme de valeur que l’ignorance populaire négligeait. Ses jugements étaient âpres et poussaient même jus-qu’au paradoxe – ils pouvaient donc paraitre exagérés, mais le temps démontra qu’il n’étaient que justes.
   Cette attitude critique poussée à l’extrême, fit naitre la légende qui Papini est un homme acariâtre et un caractère amer et enfiellé. Mais n’est qu’une légende. Le caractère de cet homme est celui de tous les hommes supérieurs : d’une bonté du plus désintéressées, il a toutes les indulgences, sauf pour les vaniteux, les arrivistes et, en générale, tous ce qui, sans nulle qualité ni talent, s’obstinent à vouloir percer l’ombre ou leur destin devrait les tenir enfermés, ou, l’ayant percée qui sait par quels moyens, jouissent d’une lumière imméritée. d’une grandeur de cœur insouciante jusque à la naïveté, le bien qu’il fit dépasse de beaucoup la gratitude qu’il en reçut. Par trop de franchise il fut parfois mal jugé, même dans son ardent patriotisme et


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dans la rigide droiture de sa conduite civique. Mais ce sont là des vétilles qui ne sauraient le toucher. Ayant abandonné la polémique pour se recueillir en un travail plus fécond, tous les petites âmes de la littérature tâchent de répéter avec lui la fable ésopienne du lion mort. Mais le lion n’est pas mort. il n’a fait qu’entrer dans sa vie véritable: une vie retirée, silencieuse et de labeur.
   Comme depuis cette retraite, il nous donna cette œuvre magnifique qui est Giorni di festa, toutes les intelligences d’italie et du monde, attendent avec un espoir profond les nouveaux fruits de son puisant et laborieux silence.


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